DOGHOUSE FLOWERS (Cold Comfort)
 di Rino 'Pili' Colangelo Iacovella



     

  Recensione del  05/05/2016
    

Il vocalist/songwriter Justin Reuther se ne va a spasso per l’area di Milwaukee in cerca di una nuova spazialità melodica che solo il country sa plasmare, una visuale tra l’honky-tonk anni ’60 che puntualmente rivela un rovescio intrigrante negli scarti del rock.
Cold Comfort conferma le belle notizie dell’esordio Chasing the Sun, stavolta si tratta di elementi ben presenti nell’alt. Country e caratterizzanti la volontà dei Doghouse Flowers di una maggiore apertura allo sfondo bucolico delle steel guitars, presentate come riferimenti di primo livello sin dalla trascinante The Other Shoe, immediati, per costituire la struttura intima e portante di Cold Comfort.
Tra cuori in fiamme e alcol, l’ironia bucolica prevale in La 1, It Would Have Happened Anyway e Busy Livin', Just a Girl, si fa spazio il rock in Cold Comfort e Great Minds Drink Alike, ansima e pedala sulla lunga strada di campagna percorsa dai Doghouse Flowers, l’andatura è barcollante, robusta, con Long Road a regalarle un ennesimo sussulto, un ulteriore intenso spicchio di vita.
Ma è, sempre e per sempre, il tempo e lo spazio del country, questi i suoi colori e i suoi corpi nella splendida ballata finale di The Killer Inside, non lascia ombre né zone inesplorate: il nitore di un buon disco di Alt. Country.