
Quattro stelle a dei signori nessuno. Non è la prima volta che azzardiamo un parere così positivo. Ma l'ascolto prolungato di questo disco d'esordio di una band assolutamente sconosciuta, come nel caso dei 
Bellwether lo scorso mese, ci ha letteralmente lasciato di stucco. I 
Deadnecks sono una band anomala. Provengono dalla profonda provincia, sono del Kentucky, di Lexington per la precisione. Il gruppo è formato da 
Karl Richards, autore delle canzoni, 
Skip Bethune, co autore  voce e chitarra acustica, 
Curtis Burch, dobro e slide, 
Kim Berryman, voce, 
Dwight Dunlap, batteria, 
Willie Marshall, basso, 
Jon Mcgee, chitarra elettrica, 
Jeff Yurkowski, tastiere e fisarmonica. Aggiunti 
Will Gilliam e Bob Burriss. 
Deadnecks hanno un suono molto classico che richiama gruppi come 
The Band, con l'uso continuo della fisarmonica ed una serie di ballate che raccolgono influenze ad ampio spettro. Infatti il suono, volutamente caldo e decisamente nostalgico, ha un fascino tale che, già ad un primo ascolto, cattura completamente l'attenzione. Musica coinvolgente, grande gioco di strumenti a corda, fisarmonica in evidenza, belle voci. Un disco adulto, ben suonato, cantato con passione: una sorpresa a tutti gli effetti. Bethune e la Berryman hanno due belle voci, Yurkovski è un polistrumentista di prim'ordine, mentre Burch e Mcgee due chitarristi coi controcoglioni. 
Suono molto roots, tra rock e radici, con predilezione per la ballata di stampo classico e per l'uso continuo di melodie piacevoli e coinvolgenti. Quaranta minuti di grande musica che iniziano con 
Burnin' Down, un sapido blues rock di buona fattura. Poi entrano in gioco fisarmonica e slide ed ecco 
Tornados & Trailers, una ballata dai sapori antichi, cantata con trasporto e suonata in modo impeccabile. 
Crystal Marie è più lenta, con la fisarmonica che avvolge la voce ed il dobro che lancia la sua melodia. 
Another Empty Bottle è un country rock pianistico, dalla melodia limpida 
Love and a 45 è più rock, con le chitarre in netta evidenza. 
Torna la fisarmonica ed ecco 
Rosalita, ballata dai sapori speziati, giocata su due voci e dal tempo molto rallentato, ma dotata di una linea melodica moto intensa. 
Shed a Tear, sempre con la fisa presente, è una composizione di stampo classico, abbastanza déjà vu. Poi è la volta di 
El Mariachi, capolavoro del disco, splendida ballata dai colori molto messicani, giocata sulla bella voce di Bethune e sull'espressiva fisarmonica di Yurkovski, mentre un gioco di chitarre avvolge il tutto. L'entrata della doppia voce di Kim da luogo ad un ritornello irresistibile, poi la voce della ragazza diventa protagonista a sua volta. Brano di grande espressività, El Mariachi mostra le qualità di questa band sconosciuta. La veloce 
On My Way, un country rock molto fluido, 
Angeline e l'avvolgente 
Cindy's Waltz, tutta giocata sulla fisarmonica, chiudono un disco di grande qualità.