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Recensione del 13/10/2020
 Cantastorie e pittore dell’Indiana, Otis Gibbs pubblica un disco da indipendente ed è il suo disco migliore. Hoosier National è elettrico, parla della gente, quella che lavora e dei capitalisti con cui deve allearsi, molte le sfaccettature, ma classificarle non è poi un problema. Non per Nine Foot Problem o nel lungo anatema di Panhead, l'ho senti parlare Otis Gibbs e ne ritrovi il passionale, lussureggiante, anche frenetico, argomentare di un rodato storyteller. La chitarra elettrificata quanto basta apre Sons And Daughters, secca e incisiva, onesta come Lord Open Road e Fountain Square Stare, l’ascoltatore a guardare sotto la superficie di Hoosier National comprende come il pensiero forte degli artisti veri, ci faccia capire meglio il mondo e noi stessi. Variazioni sulla vita in Mid Century Modern e Bill Traylor, variazioni che si allontanano tantissimo da ciò che ci aspetteremmo, come Blood, come il ‘rosso’ ti entra negli occhi, invadente, insinuante, terra fertile per Otis Gibbs fino a Faithful Friend. L'orizzonte non è un semplice paesaggio ma un perimetro, il rock un fuoritempo della memoria che non sazia mai, come Hoosier National.
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