
Riverberi, deflagrazioni improvvise, inserimenti repentini di linee melodiche frastagliate e subito interrotte, nel cuore del mississippi delta blues 
Husky Burnette si muove attraverso i flussi irruenti della chitarra, lo fanno circolare nomadico, lo ibridano in 
Best I Can e 
Kick Rocks dove entra l’armonica ad accompagnare le accelerazione del ritmo aiutate dal sagace uso delle percussioni.
Ain’t Nothin’ But a Revival! ha un colore cupo, una patina lirica toccante, e ottimamente in conflitto con il lato oscuro del blues, diretto e indiretto, dolore e dannazione, ma i demoni si affrontano anche con la vena intimistica che emerge nello struggente dialogo della lap steel di Andy Gibson (suona per 
Hank III) in 
36 Degrees, uno sconsolato e affascinante fraseggio intersecato dagli accordi discendenti della chitarra.
In 
Pay By the Hour, 
Busted Flat e anche 
Dog Me Down (cantata con Bethany Kidd), l’armonica fa da contrappunto e avvolge i pensieri di Husky Burnette, quasi a non volerli far sentire abbandonati, lento da assorbire il lamento di 
Chicken Grease, meglio la sferzata di 
Southbound / High Head e di 
See, I Moan the Blues, scolpite nella crosta tellurica di Ain’t Nothin’ But a Revival!
Quella indefinita oscurità squarciata da fiamme di luce intermittente, la rigida unità di spazio è rotta da movimenti delle chitarre, da rinchiudere fra le pressanti pareti di 
When My Train Comes, braccate nei movimenti a seguire di 
Dirty Gettin' Down, sono le modulazioni di buio, più che sfumature di luce, del blues di Husky Burnett.