 Rod Picott
Rod Picott ci aveva abituati a parlare della gente, con 
Fortune canta mettendo in scena (in gioco) per lo più la sua vita, si espone e mimetizza ballate folk introspettive con sprazzi elettrici rock/bluesy, canzoni dal cuore e per il cuore. 
Una voce dal timbro ruvido, profonda ma accesa e inconfondibile tra l’armonica di 
Maybe That's What It Takes, gioia e problemi attraverso la vita di un uomo che si affanna a predisporre un futuro che in ogni momento - per un capriccio del caso - può essere scompaginato e sfuggire al controllo.
La ricerca alla base di una brillante 
Elbow Grease, e la chitarra graffia anche sul tavolo delle fotografie di 
Until I'm Satisfied, 
Uncle John e 
I Was Not Worth Your Love, dove sono contenute tutte le cose, ma non è capace poi di contenere Fortune che le alterna a stacchi secchi, solo voce e chitarra su sfondo nero, senza dissolvenze che sfumino la drammaticità delle parole, Rod Picott snocciola anche altre vite, in bilico sul 'ballatoio' dell'esistenza, su impalcature improbabili in 
This World Is A Dangerous Place, per il soldato 
Jeremiah e una deliziosa 
Drunken Barber's Hand scritta con Slaid Cleaves.
C’è anche amore in Fortune, ballate che scavano in profondità sono 
I'm On Your Side, 
Secret Heart e 
Alicia, lasciando agli alti e bassi della vita di 
Spare Change di chiudere il cerchio: “
Rain falls when God spills his cup, way down here forever cleaning up”… 
Non c'è mai un unico percorso in Fortune, si può entrare e uscire liberamente. Basta volerlo.