
Avevano sollevato discrete speranze all’esordio, delle quali non nego d’essermi nutrito anch’io, i danesi 
Mojo Makers senza passi falsi tornano a muoversi nel blues del Mississippi dalle forti tinte rock anni ’70, lo filtra il chitarrista e vocalist Kasper Osman nell’avvio di 
Come on Brother e finisce con ingombrare la scena di 
Devils Hands. 
Con una voce ardente che sembra arrivare dal passato, pronta a rubare il campo all’altro chitarrista Kristian Hoffmann, concentrato nelle legnose dinamiche alle corde di 
Man Fire Soul, i Mojo Makers si spostano sulle rive del Mississippi tra 
Man Child, il gospel di 
Devils Hands e l’intensa 
Howl Away e le cadute di tono, gli squilibri di ritmo si fa presto a trovarli, ma rendono Devils Hands intrigante, come la dolce ballata bluesy di 
Fly on Baby. 
L’hammond continua a trovare i tempi giusti tra le steel guitars, 
Indian Woman, 
Naja e la leggiadra bellezza di 
One True Love, perché non esige tempi rigorosi, esatti, libera la slide guitar in 
Waiting for Your Love e forse ci si poteva aspettare qualcosa di più in termini di originalità, ma l’operazione funziona. In tutti i sensi.