 Brandon Clark
Brandon Clark trova con 
Burn il canale che ha portato a perturbare il flusso compatto e fin troppo tranquillo della scena dell’Oklahoma music, in una visione lontano dalla band ne deriva un piccolo mulinello, bastante a risucchiare e a portare alla ribalta il “Tulsa Sound” legato al rock di matrice classica con forti radici texane. 
Si evidenzia nella luce cupa e opprimente di 
Burn e 
Merch Man Blues e la sotterranea tensione meditativa di 
One Hell Of A Night e della steel guitar di una brillante 
Skeletons, Brandon Clark è bravo a decentrare lo sguardo tra acustico ed elettrico, e cercare di scoprire/svelare la materia del rock di cui Burn si nutre. Spinge in 
Little Bit Of Love, chiama il conterraneo songwriter 
Chad Sullins per 
Low Class, il rock gira su se stesso, fascinoso, una spirale in cui convergono indifferentemente briciole di filosofia della strada, desiderio e amore che si attorcigliano alle ballate (energiche, 
Trailer Park Love e 
Walk Away, distese in 
Emerald Eyes e 
A Million To One). 
Funzionano tutte anche se in modo diverso, con un effetto emotivo opposto in cui le incursioni di Brandon Clark alle chitarre tagliano, seguendone le fenditure, in piani diversi, anche nel finale di Burn, quasi fossero carte da gioco da mescolare tra loro con 
18 e 
The Time Has Come da una parte e 
Try, Try, Try e la pregevole semplicità di 
My Old Man dall’altra. C’è ancora vita in Oklahoma.