 Black Roses
Black Roses, 23esimo disco, terzo nell’ultimo anno. Parole e musica che non possono che correre dietro a 
Jim Lauderdale, ansanti, alla frammentazione della messinscena: in prima fila a promuovere l’
Americana Music Association, in tour con 
Buddy Miller con il quale divide il microfono anche alla radio 
Sirius XM ed è in cantiere un nuovo disco, fino a 
Black Roses. 
Insieme a 
Robert Hunter (“
Robert and I”, dice Lauderdale. “
Started writing when I was getting ready to do my first bluegrass collaboration with Ralph Stanley. That was in 1997, and that began our collaboration. During the process for Blue Moon Junction, I sent Robert some more melodies and he sent me more lyrics. I’d always wanted to do a solo acoustic album.”) arrivano al ranch Studio dei fratelli 
Luther e Cody Dickinson (
North Mississippi Allstars) e trova un bacino sonoro senza confini in cui tutto il nero del Mississippi ha trovato il suo posto. 
I fratelli Dickinson iniziano a distribuirlo nelle radiose 
Throw My Bucket Down e 
No Later Than Soon, 
Jim Lauderdale riprende in mano il proprio stile ma lo arricchisce con la sezione fiati dei 
Lucero nelle deliziose ballads 
Ride On e 
Clocks. 
Black Roses va sfogliato come una cipolla, un involucro di strati sotterranei, espressivo e vivo in 
By The Horns, mette in gioco l’ascoltatore mentre la slide guitar torna a pungere in 
When Jones Came Home, 
Ebenezer e 
Madame Mary (“
It was a thrill working with Jim”, dice Cody Dickinson. “
As he became a rocknroll roots music madman, a hot rod driving, hillbilly blues preacher of chaos!”) 
Il meccanismo non mangia l’anima di 
Black Roses, i vuoti di ritmo sono riempiti con idee e sentimenti, l’intensa 
Taking the Rap, melodie che restano nell’aria, 
They Have a Saying, 
Chase Me e 
By The Yard, corrono sotto le storie e le completano, 
Tossing Pebbles At the Sky, restando nella memoria per quella luce schiacciata nel rock, leggera ed elegante, con la quale chiude la ballata finale di 
Black Roses. Accade spesso che il ‘troppo’ equivalga a mediocrità, intesa come mancanza di un tocco personale e riconoscibile. Il ‘troppo’ di 
Jim Lauderdale piace, eccome!