
Seconda puntata della serie 
Black Gold, il texano 
Eagle Eye Williamson tanto amato (da pochi) quanto fondamentalmente sconosciuto (a molti) dopo (
The Eagle) 2010, ora tocca a (
The Serpent). Il One-man-band di Austin con una piccola batteria, la steel guitar e un microfono si muove nella prospettiva tanto cara al suo concittadino 
Scott H. Biram, blues sporco e notturno, voce raschiante, foce tra il delta del Mississippi e il rock che utilizza su ogni singolo brano per trascenderlo e giungere così a nuova configurazione dell’universo che circonda 
Black Gold, pieno di… Prospettive di lotta politica perché lo stato ha abdicato a qualunque funzione educativa, tra le mani c’è del 
Liquid Courage e se nel cielo vuoto non si percepisce neppure l’afflato di un Dio, con 
Morning In My Heart e 
Poisonous Ways trova quella coperta sonora indispensabile a coprire una solitudine sentimentale, metafora che rispecchia il suono della serie 
Black Gold. 
Indica un deliberato gioco di sfasatura dentro le apparenze del blues, caratteri del presente convivono con altri che sembrano desueti, la slide guitar nella sua ripetizione ossessiva rientra perfettamente nel disegno di 
Eagle Eye Williamson, 
Black Gold è doppio e duro, senza concessioni, spoglio anche in 
Wrong Turn e 
This Way For Too Long, belle e semplici, di quella semplicità che è difficile da farsi quando il ritmo non cambia. 
Eagle Eye Williamson lavora sempre più di lima in 
Forked Tongue, taglia, dilata le atmosfere in 
Snake Charmer, ‘mostra’ quel che c’è da ‘mostrare’, senza dare lezioni, tanto tutto ciò è così chiaro e doloroso nelle torbida 
National Deluxe e 
Knowledge Of Good And Evil. 
Nei 12 minuti della conclusiva 
Hanblechia l’ultimo acuto di 
Eagle Eye Williamson, di forte impatto emotivo, un alta gradazione strumentale sotto l’insegna della lotta fra bene e male al punto che all’uomo non resta altra via al bene che un doloroso e sofferto passaggio attraverso il male.