
Versatilità il credo di 
Luke Gasser, lo sguardo del ‘Filmmaker’ apparentemente proteso verso un’assenza di filtri personali, nel nome di una purezza estetica svincolata dalla musica, pronto a diventare affermazione stracarica di senso sociale e politico nella rappresentazione del musicista. Il chitarrista svizzero parla di vita, donne e politica e ama farlo da un’umido e tetro ‘smokey bar’ urbano quando non siede in cabina regia, il sovraccarico di note dell’intro di 
Riots è la chiave per aprire (e aprirsi) al rock, con 
Retribution, la title-track, 
Luke Gasser si impadronisce di muscolari coordinate elettriche così come dell’attenzione dell’ascoltatore, immergendosi a suon di riffs nelle viscere di un suono roccioso ma senza risultarne prigioniero. 
Retribution è circondato da un’elettricità palpabile, ma l’armonica di 
Factory Girl, le pause acustiche (lap steel e mandolino) tra la vibrante 
Scarlett O. e l’apertura della deliziosa 
From Now On, il modo in cui si appiccicano a 
Luke Gasser, seguendolo da dietro, attaccandosi alla sua voce, arrivando a condividerne tutti i battiti di un vero e onesto rocker, permettono piccoli, ma salutari, slittamenti a 
Retribution. Velature d’autore che si ritrovano nei luoghi e nei tempi delle ballate, 
Pilgrim e 
A Bastard, Not a Friend, dichiarazione di ‘poetica’ in cui la vita non costituisce il ‘tema’ ma il mezzo per parlare di sé, per disseminarsi, e guardarsi da un punto di vista moltiplicato al sociale nella limpida 
Horizon (cantata con Doro Pesch). 
Un filtro salvifico, come quello femminile di 
Packerland Girl che diventa notturno e bluesy in 
She’s Got Balls, a rendere omogeneo 
Retribution nel suo percorso più zigzagante che rettilineo, anche nel finale, dove il pensiero che giace tra l’armonica e la lap steel delle splendide 
Sittin’ On a Rock e 
Stud Muffin, si accende, nel mezzo, con 
Vivid Wind. Perché il ‘vento’ del rock  soffia dove vuole. Senti la sua voce, ma non sai da dove viene né dove va.