
Il duo degli 
Our Burgundy arriva dal Connecticut con un arcigno, ferreo, rock sporcato dal passato, e 2 ep alle spalle: “
We initially thought smaller albums (EP’s) would be easier to deliver to a fanbase, and never thought we would need to make a full-length”, dice il vocalist Seth David-Christian, pronto ad imbracciare la chitarra e, con il supporto della batteria di Alex Herr, a iniziare a rompere la piatta riproduzione del tempo quotidiano attraverso la coriacea 
Paper Flowers e 
Bad Things, alla ricerca di qualcosa che renda il  mondo che viviamo non bastante a se stesso. 
“
We named the album ‘Itinerant Statesmen’ because it is a name for a person who is a wanderer. They’re nomadic and they go from one place to another, whether physically, emotionally or metaphorically. It’s an album for the wandering soul. I feel that there is a song for everyone on ‘Itinerant Statesmen.’” 
Si è sedotti dal modo in cui spingono 
Blue Bandanna e 
Chrysanthemum, una strumentazione essenziale prova a richiamare in causa le convenzioni melodiche post-grunge, le riattivano a ‘freddo’ attraverso tracce che si disperdono in 
Itinerant Statesmen e non si fermano in 
Pondering, prevale un grigiore opprimente, quasi soffocante, nascosto nelle ballata di 
Winterskin e tra la dolcezza della conclusiva 
Goodbye and Goodnight. Gli 
Our Burgundy aprono qualche spazio per i colori neutri del rock, nelle pause di 
Moth, 
Sustain e 
The Spring Rain. L’aria resta pesante, da togliere il respiro, ma i brani di 
Itinerant Statesmen catturano, anche se rischiano quasi di essere respingenti.