
‘Leggero’ e godibile il salto temporale con gli 
Skinny Molly, tradizione del rock dalle forti tinte sudiste racchiuso in 
Haywire Riot (in scia al positivo 
No Good Deed, 2008). Un ritorno al passato degli 
Lynyrd Skynyrd e dei 
Blackfoot che è già presagio di un dolce dejavù per il frontman Mike Estes e del chitarrista Jay Johnson nella solida partenza di 
If You Don't Care. 
Gli 
Skinny Molly restano fuori dagli schemi, le fantasie alcoliche della piacevole 
Devil in the Bottle restano inopportune per il mondo artefatto in cui vive oggi il rock, ma il cazzeggio sulla cultura anni ’70 piace nel misto radici della steel guitar e la strada in 
Two Good Wheels. 
In 
Haywire Riot sono legate da melodie ambivalenti, dove le chitarre scatenano deliziosi corti circuiti, 
Too Bad to Be True e 
Bitin' The Dog, senza mandare all’aria un’idea da rock di provincia in 
Judge Parker, nella benedetta bellezza di 
After You e 
Lie to Me. 
Haywire Riot piace anche per il modo con cui gli 
Skinny Molly contraddicono il debordare dei valori della cosiddetta società civile (la discrezione, il tempo, il denaro) shekerati in 
Shut Up and Rock e tornando con scioltezza sul rock, rozzo e sbrigativo, in 
None of Me No More e 
Dodgin' Bullets. Ma nel complessivo è bene trovarsi qualche volta con ‘piccoli bulldozer’ come 
Haywire Riot. È quasi terapeutico.