
Appuntamento a Corpus Christi, Tx, per il quinto live del songwriter 
Phil Pritchett. Una lunga e onesta carriera iniziata nel 1995: 10 album di studio (compresi bootleg, demos e B-sides come la particolare raccolta giunta al terzo volume, 
Blueprint Garage) e un Ep, dello scorso anno, inciso con 
Rodney Parker, 5 dei loro brani preferiti nel ricordo dei 
REM. Tutte produzioni casalinghe, indipendenti, in quel di Fort Worth, al Trinidad World Recording Studios, luogo ideale per ricercare un equilibrio melodico tra storie di sentimenti colorite dallo humor e di racconti di vita, e sulla strada sono soggetti a scossoni destabilizzanti. 
L’ultima prova arriva da Corpus Christi, i 18 brani -senza lasciare buchi temporali, colgono il vagolante incedere di un corpo/chitarra/musicista scritto sui nervi delle corde prima ancora che inciso nella ‘carne’, scolpito col graffiante gioco delle dita nell’iniziale 
Song of The Doorman a forgiare lentamente la dura materia delle emozioni di 
Phil Pritchett, a permettergli degli intriganti sfasamenti spazio-temporali che si rimandano da disco a disco (la splendida 
God Save the King da 
Tougher Than the Rest – 2004, agli estratti da 
The Bullfighter Returns – 2008, di 
Find My Own Way (and Be Happy With Where I Go), la stessa 
Title-track e la sempre bella 
Girl of All Seasons). 
Si rincorrono ma s’intersecano con un passato recente (da 
Mark Of The Human Hand – 2009, estrapola un paio di gemme, ballate malinconiche ed elettriche come 
I Will Get to You e 
No One Loves You Like Your Mother Does) come note che dal pentagramma di 
Corpus Christi Live! liberano la propria energia, con la stessa vitalità di esecuzioni cavalcate dalla sola chitarra (la jam a rivangare 
Philworld del 1996, coi 9 minuti di 
Luke Skywalker and Indiana Jones e negli indiavolati 14 minuti di una favolosa 
Maria). C’è spazio per 
High Tide in the Heartland – 2007, la 
Title-track, utile a ripescare la meravigliosa versione del classico 
Released, e per sviscerare gli ultimi fuochi con 
Locks. 
La chitarra per 
Phil Pritchett è solo il modo migliore per veicolare questi salti temporali che vengono resi all’ascoltatore senza discontinuità, la scelta del pubblico di ripescare 
Bruising Sheetrock da 
Suburban Legends – 1999 è felice come la scelta di chiudere dopo quasi due ore con la ballata di 
Feeling Port Aransas da 
Heritage Way - 2000. Danno coerenza e unità alla messinscena di 
Corpus Christi Live!. Senza effetti surreali, solo con belle canzoni.