
Il punto di partenza da dove nascono le storie di 
Birth of the Strange sta in un luogo, Austin, Texas. Uno spazio fisico dove spesso è l’inizio di un’idea di musica, poi dipende da come ci si dispone, i 
The Memphis Strange viaggiano sul registro melodico del profondo Sud concedendosi alle tradizioni del blues, ma non disdegnando il lato dolce del pop e le lunghe pause nel rock. 
Birth of The Strange è colpito dalla luce e dal buio, la luminosità diffusa delle chitarre di 
My My Blues e le trasparenze dello sfondo del delta mississippi contro le chiare volumetrie del rock di 
After All This Time e della limpida chiusura di 
The Sheep & The Wool. 
Ma di contrappunto ecco le ombre nere che serpeggiano in 
Old Ben Wilson e 
All I Took Was Her Hair, procedono sommesse a bordo di un treno tra cupi coaguli di whiskey e improvvise accensioni nervose, i 
The Memphis Strange mantengono la giusta distanza per disegnare un panorama di melodie e riferimenti blues (
If Ever I Fall) segnati da una marcata orizzontalità del rock, il nodo di 
The Following Moon e 
Elephant in the Room. 
La band texana dimostra di essere capace di centrare senza sforzo i cambi di scena, concedendosi ad alcune contaminazione pop nella seconda parte di 
Birth of The Strange, spazio al piano e tastiere tra il malinconico di fulgide ballads elettriche come 
Five Miles Or Less, 
City of Ghosts e le radiose 
Lovin' All Day, 
Boomerang. Affascinanti mai noiose, si specchiano e scivolano l’una dentro l’altra in un disco dove si consuma l’artificio del piacere.