
L’immagine del mondo rovesciata, distorta, oppressiva ben delineata nell’ottimo 
Hard Times diviso con l’amico 
Adam Carroll, arriva a penetrare anche l’identità del terzo disco solista di 
Michael O’Connor. 
Devil Stole The Moon forgia in 10 ballate folk-roots gli spazi bui della mortalità e i sogni infranti di ubriaconi e perdenti che si arrabattono come possono nella disperazione, ma tra i diavoli le canzoni fungono come esorcismi ai desideri, gli stessi che lo hanno portato altrove a girovagare per anni attraverso l’America e l’Europa (“
I’ll still be doing some selective sideman gigs, but I’m going to be concentrating more on doing my own thing,”dice Michael. “
It's just time for a change.”) 
Così dopo un anno in giro con 
Slaid Cleaves e parte attiva del  primo –e splendido- live del songwriter 'texano', si è ritrovato col produttore Jack Saunders (suo anche 
Giants From a Sleepy Town -2007, mentre l’esordio 
Green and Blue del 2000 è stato prodotto da Mr. R.W. Hubbard) negli studi di Houston e lì il chitarrista 
Michael O’Connor –suona anche mandolino, armonica e ultimamente anche le tastiere (“
I’m not really a keyboard player at all, but I didn’t really want a bunch of fancy stuff on the record, and being in the studio allowed me to stop and start just enough to figure out a little chord pattern here and there”) cercando di far persistere la speranza solo come ‘tempo rubato’, prova sin dalla deliziosa 
Raining On The Dark Side ad affondare nell’ombra, ma la voce roca e le corde della chitarra debordano in fretta e ne escono ballads ammalianti, dalla 
title-track, a 
Lora alla waitsiana 
Time. 
Michael O’Connor naviga a mezza costa tra la dissacrazione ironica e la dura legge della realtà, stregano 
Poor Eddie e la perla finale di 
Homesick Boy ma le luci arrivano anche dalla ricca strumentazione, vitale con l’armonica in 
Above, il mandolino di 
Rough Side, alla slide splendida in 
New Years Eve e nella storia del rocker di 
Burn. Sarà anche duro abitarlo 
Devil Stole The Moon, ma non ne puoi fare a meno una volta che lo conosci, lo frequenti, allo stesso modo –sempre se avete una memoria cinefila e funzionante- della tabaccheria di 
Harvey Keitel in Blue in the Face, dove tre o quatto sigarette te le saresti fumate davvero volentieri!