
Chitarrista della punk band dei 
Tiger Army, 
Nick 13 – numero scelto in ricordo del primo gruppo, 
Influence 13- è sempre rimasto legato a vecchi amori quali l’hillbilly music e l’honky tonk anni ’40, ’50 e ’60, lasciati maturare col tempo, quel tanto per riscoprirli alla soglia del primo disco solista. Il passo dalla sua California a Nashville è breve, ma la prima cosa che risalta sin dalla splendida ballad di 
Nashville Winter è la capacità di non far percepire gli evidenti scarti tra il passato e il presente, il passaggio brusco è affidato alla pedal steel del maestro 
Lloyd Green (anche il resto della band non scherza, musicisti del calibro di Josh Grange e Mitch Marine -leggi 
Dwight Joakam band- e il desaparecidos 
Eddie Perez) e su quella luce soffusa pastellata di ricordi, 
Nick 13 cerca di aprire il suo spirito e di ottenere una sintesi poetica del country. 
Le canzoni spaziano tra le colline del Tennessee alla verde Kentucky, un album di puro ‘old country’ legato alla tradizione romantica e disillusa di uomini soli che vivono –per scelta o per costrizione- lontano da tutti e tutto, la malinconia che a tratti vi serpeggia innalza 
Nick 13 ad un alto livello di smarrimento esistenziale, in questo lo aiuta un timbro vocale alla Chris Isaak, specialmente in 
Cupid's Victim 2011 e 
In The Orchard 2011. 
Ma 
Nick 13 trova il proprio passo, talvolta western in 
Carry My Body Down e nella chiusura di 
Gambler's Life, e specialmente quando riesce a comandarne il ritmo, nelle deliziose 
Someday e 
Nighttime Sky, 
Restless Moon a quella 
101 che sembra racchiudere la storia a lieto fine di 
Nick 13, lui a bordo di una macchina che lascia la piccola cittadina californiana per spingersi a Sud, alla ricerca di una nuova vita. Andare via lontano, per poi tornare, sempre e comunque. Con un altro bel disco, possibilmente.