
La collaborazione con la pedal steel del maestro 
Lloyd Green è la scelta del cantautore, giornalista, produttore e professore 
Peter Cooper, un terzo disco inizialmente registrato solo voce e chitarra poi Lloyd ne ha scalfito e grattata la pelle con la magia della steel e la malinconia di un country puro, nostalgico, è salito in superficie come le aperture melodiche del narratore Peter Cooper, in grado di far risaltare tutto ciò che nella vita resta nel profondo. 12 le ballate voce e lap steel di 
The Lloyd Green Album, scritte a metà dallo stesso Cooper e diversi amici come 
John Hiatt e 
Kris Kristofferson con special guest illustri (
Emmylou Harris, 
Rodney Crowell e l’
Eric Brace con cui ha condiviso il precedente disco Master Sessions). 
L’inizio è splendido con 
Dumb Luck, una calda, fluida, densa perorazione a vivere di un cervello che non riesce a stare dietro ad un mondo troppo veloce, 
Lloyd Green e la fisa avvolgono la voce di un’ispirato Cooper e continuano tutti insieme nella piacevole rivisitazione di 
The Last Laugh, scritta con 
Todd Snider e contenuta in The Excitement Plan. Tra fermate al bar (da Milwaukee nell’accorata dolcezza di 
Elmer The Dancer, dove manca la birra per nutrire i sogni della notte, all’Oklahoma struggente di 
Here Comes That Rainbow Again di Kris Kristofferson, su cui si osserva il cambiare del tempo), le aperture sul mondo sono continue come il tocco agreste (fiammante in 
What Dub Does) che avvolge 
That Poor Guy, la splendida 
Gospel Song, in un continuo girovagare senza lasciare mai da sola la pedal steel anche quando ripesca 
Bells of Odilia di Chris Richards e 
Mama, Bake Me a Pie, il classico di Tom T. Hall. 
Non potevano mancare delle ‘train songs’, sotto gli occhi scorrono le emozioni e le solitudini di 
Champion of the World, profonde in 
Tulsa Queen di Rodney Crowell, con 
Train to Birmingham di uno Hiatt inedito, altro suggestivo viaggio sui binari della vita dove si tracanna whiskey per calmare dolori e lacrime. Se da una parte 
Lloyd Green e la seducente pedal steel rinnovano la pura epica dell’alternative country, dall’altra si chiarisce definitivamente la poetica del musicista 
Peter Cooper, perfettamente bilanciata fra un elaborato songwriting e una toccante vena intimistica.