
Il duo blues di Portland al terzo disco di studio cerca nella tradizione dell’American Music, dell’Appalachia sound e con massiccie dosi di banjo, un suono alternativo per rinfrescare il paludoso aroma di Mississippi dei dischi precedenti. 
Il risultato di un paio di nottate nel Northwest è 
Darker the Night, molto meno oscuro e ostico di quanto si possa sembrare, di humor c’è n’è abbastanza anche se dall’intro di 
Hammer Ring, in filigrana si avverte una cappa incombente per un’umanità stravolta, da aggredire però a grosse dosi di sarcasmo ma senza avvolgerlo con la pietà, bastano bottiglie di alcohol, amori perduti e il banjo spiritato di Henry Kammerer nelle due puntate di 
Banjo Song, #1 e #2 dove attese, solitudini abitate da delusioni, sentimenti traditi, lasciano il segno anche se forse la melodia non chiude sino in fondo i tempi strumentali, cosa che invece capita nel ‘solito’ e splendido blues spinoso di 
Cardiac Arrest in D, nella varietà di suoni di 
Jumper on the Line, al fascino gospel aggiunto in 
Darker The Night. 
Il patchwork però è divertente (sentire 
Cold Dark Woods, banjo oltre al testo, vero protagonista) ed è servito da una successione fluida e sempre ritmata, alla montanara avventura 
Crawdad Hole con l’armonica di David Lipkind e Phillip Guttman che da l’impressione di stare a bollire tranquillamente nel brodo di marca della classicità, al banjo di 
Little Angel Child -‘canino’ nella strumentale 
Blue Tick e nella festa bluegrass 
Old Plank Road. 
Darker the Night con la sua ironia cattiva, le atmosfere malate (
S.I.R. o della splendida 
Up Here), con la sua morale dura e dolorosa, candida ancora gli 
Hillstomp sul podio delle sorprese (senza contare 
You Got to Move, il classico di Fred McDowell in una versione acustica, fangosa, ma incandescente e bruciante allo stesso tempo).