
Il prolifico 
Ken Will Morton, al settimo disco dal 2004, con una nuova casa discografica ma senza mutare le caratteristiche della tradizione dell’Americana a cui resta affezionato, ovvero prima la storia e dopo la musica. Sguardo sul reale che permea tutti i suoi dischi, lungi dal fornire delle risposte, non si limita a raccontare le cose come sono, bensì le sublima in un’area malinconica e surreale che pochi riescono ad evocare con tanta grazia: come se le realtà non fosse che un sogno ad occhi aperti, e in 
True Grit ce ne sono. 
Dall’armonica solitaria della title-track, splendida e struggente nella sua immemore dolce ostinazione a tenere duro, voce nasale e ritratti folk quasi sempre costruiti intorno ad una strumentazione elettro-acustica (fatta eccezione per la più decisa 
Gamblin Man Blues e la trascinante 
Open Road) un modo anche per citare e omaggiare una tradizione a cui 
Ken Will Morton guarda con evidente nostalgia, una perla 
Restless Heart, il respiro si fa ampio e disteso quando aggiunge il piano, presente anche nelle ballate di 
Muscadine Wine e 
Breathe, illuminate da colori autunnali che riverberano abbaglianti sulla tavolozza di 
True Grit. 
Hard Weathered Life altra splendida ballata su personaggi veri, con parole giuste, melodie credibili. Tutto si incatena logicamente, e i dettagli si riflettono l’un l’altro, rafforzando il quadro d’insieme, da 
On My Feet Again a 
Daylight, alla bellezza rootsy di 
Cannot Win For Losin all’amarezza che vive fino al finale di una solitudine intrinseca alla natura umana in 
Don’t Feel Bad for Crying e 
The Fool. Ma nella musica e nel canto di 
Ken Will Morton riacquistano un valore. Ed è la forza aggiunta di 
True Grit.