
Non c’è più il bisogno di accettare produzioni di dischi ‘su commissione’ per vedere come funziona dall’interno il sistema discografico delle grandi label, oramai i tempi son cambiati e per trovare le sponde giuste ad ambiziosi progetti su cui si lavora da anni, basta solo trovare musicisti validi e uno studio di registrazione. 
Chris Brecht non si fa corrompere dalla canzoncina radio friendly, si tiene lontano da una riflessione scanzonata della vita anche se rinuncia alla compagnia di Dylan come nel felice esordio di 
The Great Ride ma lo sostituisce con i 
Dead Flowers che si portano dietro l’elettrico, la ballata rock, tanto che il roots e l’americana alla fine, li usano solo come contorno ad un disco che ha un’unica pecca, quella di durare 35 minuti. 
L’approccio della band stimola non solo la scrittura di Chris Brecht, con 
Hollywood si nota immediatemente che l’impalcatura di suoni non imbriglia, ma aggiunge fascino alla vena malinconica di questo bravo songwriter, slide e organo hanno il sapore del country anni ’70 nella tenera 
Witch's Curse, qualche vena pop-rock alla Ryan Adams dei tempi d’oro e a sentire la 
Blue Thunder e 
Don't Take It So Hard sembra che 
Dead Flower Motel ne risulti impregnato, ma non completamente. 
Il perché in brani come 
Not Where You Are, a rivelare chiaramente le coordinate autoriali di 
Chris Brecht e dei Dead Flowers capaci di far vibrare anche le emozioni, splendide come 
Wish You, la chitarristica chiusura di 
Devil e una 
You Been Livin' che segna quel tocco rootsy affidato al superbo banjo di Scott Davis, più carezzevole nella ballata notturna di 
Streetlights, a riempire con un pizzico di colore agreste 
Dead Flower Motel, lasciando un ulteriore margine di immaginazione all’ascoltatore.