 Waylon Jennings
Waylon Jennings nel lontano 1973 realizzò un album intitolato Honky Tonk Heroes scritto quasi interamente dal maestro 
Billy Joe Shaver, ebbene in quel disco c’era una bonus track intitolata 
Slow Rollin Lows. Trentatre anni dopo Pug Johnson e Jeremy Porter hanno formato una band non solo intorno a quella canzone ma anche attorno al suo autore, con la stessa leggerezza mescolata a una paziente coscienza della vita. 
Dopo l’interessante ed energico esordio di 
One of These Days, i texani di Beaumont con la supervisione di un altro grande musicista come 
Phil Pritchett incidono il secondo disco, 
Erie Street che a torto o a ragione, è in grado di fare dello spaesamento quotidiano l’occasione per un sorriso che seppur amaro è rivestito dal piacevole rock e roots della tradizione dei fuorilegge texani, gli 
Slow Rollin Lows affrontano le usure dell’irrequietezza con 15 brani a cui spettano il compito di consolarci dai mali quotidiani, quelli che accompagnano dal risveglio ogni giorno e che non si fanno di certo intimidire da quanto sia alto il volume dello stereo. 
Un disco solido forse troppo lungo ma non c’è quella sensazione di voler strafare, la noia è lontana anni luce, ma a volte si sa con la troppa arguzia e la troppa carne al fuoco si rischia di impatanarsi (lo spaesamento a cui si accennava in 
Let It All Go è forte, fuori sincrono dal resto dell’album) ma non me la sento di condannarli anche perché 
Erie Street è un’ulteriore passo avanti: l’impervio spazio avventuroso che si respira dalla splendida 
Redemption è il più autentico fondamento mitografico tracciabile della deriva del mito western oramai accasatosi, dove gli spettri del duello e le ‘borrache’ restano sfocate mentre la musica conquista l’azione. 
La band texana l'abbraccia ad ampio raggio passando dalla coralità di 
Something To Say, dove il rock e la slide sembrano richiamare il clima spensierato alla Jayhawks, alle vibranti 
Green Eyed Girl e 
Be Alone energiche e chitarristiche che riescono a insufflare al disco un respiro unitario nei suoi momenti di tensione che le deliziose 
Crying Clown Blues e 
Waking Up With Strangers abbandonano un po' alla volta, passando dal consueto registro realistico si immergono nello humour e nel disincanto che fanno tutt'uno con i riff distorti di 'Pug', e con la splendida 
Hippies, Drunks, And Rednecks sembra quasi di sentire circolare l’aria e la vita delle Texas band che richiamano nel brano (
Boxcars, il grande 
Jackson Taylor). 
Quando invece l’atmosfera di sospensione di un passato bellico entra in scena, la notte prende il posto del giorno e l’armonica della suggestiva ballata di 
Our Brothers aderisce alla concretezza della vita, problemi, gioie e desideri vengono spazzati via dalla pioggia o coperti dalla neve tra chitarre acustiche e mandolini a suggellare un brano incantevole nel ricordo di Alamo, pathos che non si avverte nel piano pop-malinconico di 
Let It All Go, che sembra appartenere agli 
Explosions in The Sky, band di Austin ma strumentale, un brano che forse merita più di un’ascolto ma resto dell’idea che sia sull’album sbagliato… 
I riff di 
I Don't Wanna Go Home e il roots di 
Dead And Gone tengono a debita distanza la tentazione del sentimentalismo sia pure con esiti non sempre convincenti a sentire le strofe di 
Sad Country Song, ma il finale scoppiettante di 
This Dream e l’aria di confine di 
Gypsy Ghost con una jam  da incorniciare testimonia la qualità di questi texani che ci hanno abituato sin dall’esordio a piacevoli imprevisti, tirano fuori quel qualcosa e i loro dischi sorprendono come 
Erie Street, il disco della piena maturità dei 
Slow Rollin Lows.