
Molto spesso accade che i risultati davvero interessanti per un songwriter o per una band arrivino al terzo, quarto disco. Il ventiseienne 
Colin Lake ha bruciato le tappe dopo l’esordio del 2007 con il blues di 
Wax Wane, né migliore né peggiore della media dei bluesman della sua età, raffinato giochetto tra amore, morte e politica, convincente con qualche cover di lusso. 
Con un trofeo in tasca vinto al Telluride Acoustic Blues Competition è tornato nella sua Portland per creare un suono più avvolgente che aveva in testa anche nel suo disco d’esordio, prima compattando la sua band dei Wellbottom e poi occupandosi della scrittura del nuovo 
Bullet, delta blues e rock dalle radici ad oggi sulla stessa linea dello slogan di Martin Scorsese nel suo tributo cinematografico: «
Il blues è la radice, il resto sono i frutti». 
Moderni quelli mischiati al piatto che accarezza il dj in 
Hammer e in 
Stop Breakin' Down che non hanno lo stesso sapore di quelli che affondano nella tradizione e nella storia come la splendida 
Station Blues, ma seppur spiazzanti e forse non pienamente bilanciati nelle premesse, lo sviluppo di 
Bullet non tradisce e resta un disco sincero che mostra il divenire adulto di un musicista che si confronta con la mutazione della realtà circostante, nel 
Blues for C W ci infila qualche linea pop ma Bryan Appel alla chitarra sa ritagliarsi una splendida jam finale. 
Colin Lake ha la capacità di adattarsi al mondo, cerca innazitutto di non risultare sempre in attrito con i suoi ritmi e le malinconie dell’amore e i complicati incastri capaci di paralizzarti vengono affrontati e dissolti nella meravigliosa struggente ballata bluesy di 
Adi's Song, brani pronti a repentine inversioni vettoriali stimolate da una progressione drammaturgica segnata dalla voce di Colin più decisa e da una jam chitarristica come in 
Mountainside o da un piglio Folk-Rhythm-bluesy a dir poco trascinante quello della deliziosa 
Red Crosse e quando riabbraccia la ballata mostra una grande leggerezza e naturalezza in 
The Way I Am, tutta protesa alla ricerca delle piccole rifrazioni dell’animo, del quotidiano che sfugge, del tempo che inesorabile passa sulle esistenze di ogni individuo, lo stesso tempo che occupano le donne nei pensieri. 
Insomma 
Bullet raggiunge la cosiddetta maturità artistica, termine spesso utilizzato eufemisticamente per indicare una fase di decadenza, che invece in questo caso corrisponde al raggiungimento di uno status autoriale e di un songwriting autenticamente personale che nel finale tiene la rotta senza sbandare con 
The Very Thing, 
Mean Old World, una strumentale ammaliante come 
New Blues e una strascicata, vitale e chitarristica 
Special Rider (All Over Town). Delta blues raffinato quello di 
Bullet, e bagliori come questo non capitano tutti i giorni!