
È l'ultimo di quei self-made men che rivisitano la musica popolare americana partendo da quell'ottica rude e sentimentale tipica di altri americani come lui. Nomi noti o meno: Lyle Lovett, Ponty Bone, Joe Ely, Nanci Griffìth e David Halley, tutti presenti con armi e bagagli in questo 
Native Soil di 
Darden Smith, cantautore texano (e dove sennò?) dalle belle speranze. Ci riprova con il compact disc, quindi, visto che in forma vinilitica 
Native Soil era già uscito, nella generale indifferenza, qualche anno fa. Ristampa autorizzata e caldamente consigliata perché aldilà degli ospiti e della loro opera 
Darden Smith sa mettersi in mostra con una voce molto bella (a tratti sembra quella di Chris Whitley) e una raccolta di buone canzoni. 
Comprensiva di 
Bus Stop Bench, illuminata da un violino tzigano, del ripido esercizio di fingerpicking di 
Little Maggie e del naturale e dovuto omaggio a Townes Van Zandt con 
Red Sky. Altro ancora mette a disposizione 
Native Soil: una dedica ai veterani (
Veteran's Day),una ballata da classe superiore (la grande 
Stick And Stones), un'esortazione da artista sensibile (
Keep An Open Mind) e un dettaglio del paesaggio dell'Ovest, tra la frontiera e le immagini di 
Wild West Show. 
Tutto elaborato da Darden e compagnia onorando uno stile, limpido e acustico, che fa onore al mestiere e senza perdersi in pigre ballate o noiose rivisitazioni: 
Native Soil ha assorbito le lezioni dei folk-singers tradizionali e si permette di darne una nuova versione, capace di garantire la durata della specie in attesa del prossimo texano orgoglioso di esserne parte. 
E gli basta un ruvido blues come 
God's Will per assicurare a 
Darden Smith un posto tra Joe Henry, Bo Ramsey, Greg Brown e qualche altro desperado che affida una grossa percentuale delle sue fortune ad una chitarra acustica e a quattro righe di poesia.