
Altro viscerale viaggio nel blues-rock dell’australiano
Gwyn Ashton.
Grease Bucket è come una riquadratura sulla sua discografia, insieme di componenti che ne definiscono concretamente la scena (chitarra acida, ritmica e quel giusto spirito anni ’70).
Something That the Cat Dragged In e Evil Child, focalizzano il territorio conchiuso di un desiderio e della sua gratificazione, quale luogo interiore e “definitivo” (
Green Light Blues, nel solo chitarristico di Down & Dirty alla deliziosa Somebody).
Fascino di un luogo chiuso, più o meno angusto, dove Gwyn Ashton rinchiude il blues/rock (quelli dove non ci sente necessariamente protetti, per forza di cosa, vigili, per una condizione di sicurezza precaria, piuttosto naturale).
Esposti a una dimensione esterna che incalza senza sosta (perla,
Little Bit of Crazy a Self-Isolation Blues), Grease Bucket sta tutto nella distanza della conclusiva
Blues for the Tortured Soul, nello spazio liberato tra le corde della chitarra.
Tra visione interiore e vita di Gwyn Ashton e nel fatto che entrambe siano reali, perché umane.