
A dieci anni da 
Under The Wishing Tree, Charlie Sexton riprende in mano la sua carriera solista. Purtroppo quello splendido disco non ebbe seguito perché uscì, guarda caso, a ridosso della fusione tra Polygram e Universal e a farne le spese furono proprio, come succede sempre, musicisti come Charlie Sexton e dischi come Under The Wishing Tree. Nonostante l'inevitabile delusione, non è che in tutto questo tempo se ne sia rimasto con le mani nelle mani. 
Ha suonato con Bob Dylan, in tour e in Love And Theft, ha prodotto i dischi di Edie Brickell, di Shannon McNally, dei Los Super Seven, Essence di Lucinda Williams e ha lavorato in studio e/o dal vivo un po' con tutti, da Charlie Musselwhite a Terry Allen fino a David Bowie. Nel frattempo ha messo su famiglia (moglie e un figlio) e ha capito che preferisce stare in uno studio di registrazione (che è sempre un posto abbastanza claustrofobico) piuttosto che altrove. Del resto ha detto di recente: "
Quando, a nove anni, ascoltavo Magical Mistery Tour, non volevo essere in un gruppo o sul palco. Volevo essere nel disco". Con una premessa simile è inevitabile che l'esuberanza degli esordi di 
Pictures Of Pleasure e dell'omonimo 
Charlie Sexton nonché il mainstream rock'n'roll degli Arc Angels (il supergruppo con Doyle Bramhall e i Double Trouble e prodotto da Little Steven) sono ormai un retaggio del passato. 
Cruel And Gentle Things allunga il passo di Under The Wishing Tree, 
Charlie Sexton si siede più spesso al piano che alla chitarra e il suo punto di riferimento della sua maturità, oltre ai già citati Beatles (basta sentire gli archi di 
Cruel And Gentle Things), torna ad essere Bob Dylan e non soltanto per aver speso gli ultimi anni suonando con lui, ma perché è sempre stato una presenza costante nella sua vita. Racconta Charlie Sexton: "
C'è una mia fotografia sul seggiolone e dietro di me c'è il poster di Blonde On Blonde e lui con quella sciarpa" e, se non a livello di suoni e canzoni, sicuramente quanto a motivazioni in 
Cruel And Gentle Things è un modello molto saldo. Dieci canzoni, tutte bellissime: comincia una ballata acustica (con una dodici corde), l'accorata 
Gospel e finisce, con tanto di spruzzata d'archi, il suo equivalente pianistico, 
It Don't Take Long. 
In mezzo, Charlie Sexton (che suona un po' di tutto) esplora il rock'n'roll songwriting con 
Burn, Once In A While, Bring It Home Again I Do The Same For You e 
Regular Grind che sembra ricalcata sulla 
Sunday Clothes che 
James McMurtry gli scrisse per 
Under The Wishing Tree e a cui queste canzoni rimandano più o meno direttamente. Le novità di rilievo sono invece 
Just Like Love, un'affascinante lullaby suonata in punta di dita, e 
Dillingham Lane che è il capolavoro del disco. L'arrangiamento e i suoni ricordano gli ultimi dischi di Steve Earle (non a caso, l'hanno scritta insieme) ed è una canzone monumentale che riprende un tema caro a tutti gli storyteller e gli scrittori di questo mondo. 
Quello di crescere e di accorgersi che la magia è rimasta laggiù sui marciapiedi di Dillingham Lane o in qualunque altra strada si correva da piccoli. Per raccontare una storia così, bisogna diventare grandi e 
Charlie Sexton, pur prendendosi tempo necessario (ma stava facendo la scuola giusta), non ha mancato l'appuntamento.